TASSA ETICA sui Creator: Scelta Morale o Discriminazione Fiscale? #1492

Ciao Internet su Ciao Internet con Matteo Flora del 24.11.2025

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In questa Puntata

Il governo italiano introduce una tassa etica del 25% sui redditi derivanti da contenuti per adulti, colpendo creatori di contenuti piccoli e medi. La tassa, basata su un giudizio morale piuttosto che su criteri economici, solleva preoccupazioni su discriminazione fiscale e arbitrarietà legale, creando incertezza tra i professionisti del settore e aprendo un dibattito sul ruolo dello Stato nel controllare la moralità.
Oggi affrontiamo un tema che tocca la sfera della moralità e del controllo statale: la cosiddetta tassa etica. Questa imposta del 25% sui redditi derivanti da contenuti per adulti non è una novità, esiste dal 2006, ma la sua applicazione è stata recentemente estesa anche ai piccoli e medi creator, come quelli su piattaforme tipo OnlyFans. Secondo una stima di Fiscozen, oltre 45.000 professionisti potrebbero essere soggetti a questa tassa, che non si basa su una maggiore capacità contributiva, ma su un giudizio morale.

La definizione di materiale pornografico, secondo lo Stato, è tanto precisa quanto insidiosa: atti sessuali espliciti e non simulati tra individui consensienti. Tuttavia, la decisione su cosa rientri in questa categoria è lasciata all'arbitrarietà dell'agenzia delle entrate, creando una notevole incertezza giuridica ed economica per chi lavora nel settore. Atti come l'autoerotismo o la semplice nudità dovrebbero essere esclusi, ma il condizionale è d'obbligo data l'incertezza applicativa.

Politicamente, Azione con Pastorella e Lombardo ha già presentato un emendamento per cancellare questa tassa, definendola un abuso basato su un giudizio morale. L'articolo 53 della Costituzione parla di capacità contributiva, non di moralità contributiva, e questa tassa sembra creare una discriminazione fiscale tra cittadini di serie A e B.

La tassa etica si inserisce in una logica di stato paternalistico, come la definirebbe Hannah Arendt, uno stato che non solo regola ma educa e plasma i comportamenti dei cittadini attraverso leve improprie come le tasse. Questo crea un chilling effect, dove i creator potrebbero autocensurarsi per evitare il tritacarne burocratico dell'agenzia delle entrate. Non è una sin-tax, come quelle su alcol e sigarette, ma una tassa su un'attività basata su un giudizio di valore.

L'applicazione di una legge del 2006 alla creator economy del 2025 mostra uno scollamento tra una legislazione analogica e una realtà digitale. È un'operazione di reputation washing, usando la parola etica per mascherare un pregiudizio, avvelenando il dibattito pubblico e spostando il focus da diritti e giustizia fiscale a moralità soggettiva.

Alla fine, la domanda è se il fisco debba essere uno strumento per finanziare servizi pubblici in modo equo o un'arma per imporre una visione etica. La tassa etica fa pendere questa dicotomia verso la seconda opzione, con il potere che risiede nell'arbitrarietà della sua applicazione. Questo non è un dibattito sul porno, ma sul tipo di Stato che vogliamo e sul rapporto tra libertà individuali, lavoro e potere pubblico.