StopHateForProfit: tutto quello che dovete sapere delle marche che abbandonano Facebook

Ciao Internet su Ciao Internet con Matteo Flora del 29.06.2020

Copertina del video: 738. StopHateForProfit: tutto quello che dovete sapere delle marche che abbandonano Facebook

I contenuti dell'Episodio #738

In questa puntata di Ciao Internet, esploro l'intersezione tra pubblicità online e discorsi d'odio, un tema che mi sta a cuore da molti anni. Partendo dalla campagna "Stop Hate for Profit", analizzo come i grandi brand stiano mettendo pressione su Facebook e Twitter per arginare la polarizzazione e i discorsi d'odio, bloccando miliardi di investimenti pubblicitari. Vi racconto come questa tattica non sia nuova, come già nel 2017 abbia avuto un impatto significativo su YouTube, e rifletto su cosa potrebbe significare per il futuro dei social media e del dibattito online.
Ciao Internet! Oggi affrontiamo un tema caldo e complesso: il rapporto tra pubblicità online e discorsi d'odio. Recentemente, grandi marchi come North Face, Coca-Cola, Unilever e Levi Strauss hanno deciso di boicottare giganti come Facebook e Twitter, fino a che non prenderanno misure concrete contro l'odio online. Questo non è un fenomeno nuovo, già nel 2017-2018 si erano verificati simili movimenti, che avevano avuto successo nel cambiare le dinamiche della pubblicità online.

Partiamo dalla notizia: la campagna "Stop Hate for Profit" mira a far pressione sulle piattaforme per contrastare la polarizzazione e i discorsi d'odio, bloccando un budget pubblicitario di 70 miliardi di dollari. Questo movimento coinvolge oltre 100 aziende, tra cui nomi noti come Coca-Cola, Dockers, Levi Strauss, Unilever e Verizon, che hanno deciso di sospendere la loro pubblicità fino a che non ci sarà un cambiamento concreto. Unilever, ad esempio, ha dichiarato che continuare a fare pubblicità in un ambiente così polarizzato non garantisce alcun valore per loro.

Anche all'interno di Facebook c'è dissenso: dipendenti stessi hanno chiesto le dimissioni di Joel Kaplan, vicepresidente del settore global policy, accusato di gestire male la situazione. Ma la questione è più complicata del semplice fermare l'odio. Le piattaforme cercano un modo per gestire le modalità di comunicazione, che spesso degenerano in attacchi verbali violenti.

Vi porto un esempio concreto: un semplice messaggio di festeggiamento per il cinquantesimo Gay Pride da parte di Maria Elena Boschi ha ricevuto una quantità incredibile di commenti offensivi. Questo tipo di contenuti polarizzati è una delle ragioni principali per cui le piattaforme sono sotto attacco dai grandi brand. Fare pubblicità in un ambiente così ostile diventa controproducente, poiché ogni messaggio può essere facilmente attaccato da piccole minoranze rumorose.

La pubblicità online si divide in due mondi: la pubblicità generalista (above the line) e quella mirata (below the line). Oggi ci concentriamo sulla prima, quella che cerca di raggiungere il pubblico più vasto possibile. Questa forma di pubblicità è quella che viene maggiormente attaccata, e per i grandi brand non c'è valore nel continuare a investire se il messaggio viene distrutto dai commenti negativi.

Questo movimento di boicottaggio ha già funzionato in passato, come nel caso di YouTube tra il 2017 e il 2018, quando Unilever e altri brand ritirarono i loro investimenti a causa di contenuti inappropriati. Il risultato fu un cambiamento radicale nei contenuti della piattaforma, con una maggiore regolamentazione e censura.

Ora, ci troviamo di fronte a una potenziale nuova ondata di cambiamenti, dove chi utilizza toni violenti o parla di certi argomenti potrebbe essere bloccato dalle piattaforme. Personalmente, non mi dispiace che certi individui vengano allontanati, ma bisogna fare attenzione a non scivolare in una censura eccessiva.

La vera domanda è se la risposta a questa intimidazione economica sia quella giusta. Dovremmo forse concentrarci su un dibattito basato sui valori piuttosto che su minacce di ritiro degli investimenti? Una risposta troppo rapida e basata su algoritmi potrebbe non essere la soluzione migliore, perché spesso non è la più giusta.

Scusatemi per la lunghezza del video, ma era necessario fare chiarezza. Raccontatemi cosa ne pensate nei commenti. Questi video richiedono molto impegno, quindi se li trovate utili, vi prego di condividerli. Io sono Matteo Flora, vi faccio compagnia cinque giorni alla settimana parlando di come la rete ci cambia. Ciao Internet e grazie per avermi ascoltato.